STORIA DEL PARACADUTISMO
I PIONIERI DELL'ARIA
L'intuizione di Leonardo Da Vinci di costruire un paracadute a forma di piramide, fu ripresa da Fausto Veranzio da Sebenico,
filosofo e matematico, il quale nel 1615 si sarebbe lanciato da una torre a Venezia appeso a un enorme paracadute rudimentale di forma quadrata.
Occorre attendere il risveglio scientifico del secolo successivo per arrivare a esperimenti positivi sui paracadute.
Il primo vero paracadutista della storia è
André Jacques Garnerin, fisico ventottenne, che dopo ripetute prove, il 22 ottobre 1797 collaudò un paracadute di sua invenzione.
La prova avvenne di fronte a una folla entusiasta radunata nel parco di Monceau. Ganierin sali in mongolfiera sino a circa 700 metri e, tagliò le funi che legavano la navicella all'aerostato.
Venne giù oscillando fortemente, ma indenne. In seguito Garnerin realizzò un modello simile a quelli attuali, vale a dire a costituzione floscia e, soprattutto, con un foro all'apice della calotta per farvi passare l'aria ed eliminare le oscillazioni.
Nel 1887 un americano, il capitano Thomas Sacket Baldwin (che diverrà in seguito industriale aeronautico) apportò al paracadute una fondamentale innovazione: aboli la navicella di vimini,
che sino a quel momento era servita da abitacolo per il paracadutista, e costrui una vera e propria imbracatura simile a quelle odierne.
Il paracadute poi, comincia a interessare i militari nel 1911 si registrò un altro passo avanti nella storia del paracadutismo: il primo lancio da un aereo.
QUEL PRIMO LANCIO
Nell'agosto del 1918 ebbe luogo la missione che inaugurò in Italia l'epopea dei fanti dell'aria. Il tenente
Alessandro Tandura, nativo di Vittorio Veneto, effettuò il primo lancio di guerra della storia del paracadutismo militare italiano.
L'epopea del paracadutismo militare italiano cominciò, come spesso accade negli eserciti, quasi per caso. Prodotti dagli inglesi all'aviazione italiana vennero consegnati in numero scarso i paracadute "Calthrop", di forma tronco-conica, che veniva fissato all'esterno del velivolo ed era collegato al corpo dei pilota mediante una lunga fune.
I paracadutisti oggi non celebrano solo la medaglia d'oro, l'eroe di guerra, ma anche e soprattutto il "padre" della loro disciplina, il punto di partenza di quel lungo "filo amaranto" che per anni ha significato in Italia senso dei dovere, spirito di sacrificio, combattimento e gloria.
NASCE IL "SALVADOR"
Alla costituzione della scuola di Castel
Benito, vennero dati in dotazione i
paracadute denominati «Salvator D 37»,
già in uso ai piloti della nascente Aeronautica, dove
la cifra trentasette stava a indicare l’anno della loro
entrata in servizio.
L'imbracatura di quel tipo di paracadute, progettato
dal tenente colonnello dell’Aeronautica Prospero
Freri, prevedeva un cinturone di grandi
dimensioni al quale era agganciato il «fascio funicolare
» unico, una sola bretella, con funzioni da
«spallaccio», da indossare a tracolla e un «cosciale
» sullo stesso lato dello «spallaccio». All’epoca
non era previsto il paracadute ausiliario.
All’inizio dell’attività addestrativa presso la scuola
libica, si verificarono numerosi incidenti mortali
causati dalla mancata o parziale apertura della
calotta. Uno di questi incidenti, avvenuto in maniera abbastanza singolare, fece riflettere Freri. Un paracadutista libico,
precipitò al suolo mentre il suo paracadute continuò la lenta discesa, in quanto, al momento dello shock di apertura,
egli era letteralmente «scivolato» fuori dall’imbracatura che forse aveva indossato senza serrare bene le cinghie.
A seguito di ciò, il paracadute venne modificato aggiungendo al cinturone un altro «spallaccio» e il secondo «cosciale
». Nacque così il paracadute modello «Salvator D 39» che accompagnò i paracadutisti fino ai primi anni della Scuola
di Tarquinia dove poi venne successivamente sostituito da quello modello «IF 41 SP» che resterà in servizio, sempre
senza ausiliario, fino al termine della 2ª Guerra mondiale.
E NACQUE LA FOLGORE
Nel 1937 Italo Balbo, allora governatore della Libia, promosse la costituzione d'una scuola di paracadutismo all'aeroporto di Castel Benito (Tripoli). L'obiettivo era di formare un battaglione di "fanti dell'aria" libici affidandone il comando a uno dei più esperti e valorosi ufficiali coloniali, il tenente colonnello Goffredo Tonini, medaglia d'oro.
Si lavorava su un terreno vergine, bisognava continuamente inventare, l'addestramento era reso difficile anche dall'innata diffidenza delle truppe di colore per le "macchine volanti".
Il colonnello paracadutista Freri andò in Libia e si diede ad addestrare all'uso del paracadute Salvator D.37 gli ufficiali destinati a diventare istruttori dei libici.
Intanto, nella primavera del'40 era sorta anche in Italia, e precisamente a Tarquinia, una scuola militare di paracadutismo.
Tarquinia prese a viaggiare a pieno ritmo e rigurgitava di giovani gagliardi ed entusiasti, destinati a formare quella
Divisione "Folgore" che nel 1942 si copri di gloria ad El Alamein.
LA TECNICA DELLA CADUTA LIBERA
Nell'ultimo ventennio il paracadutismo ha fatto passi da gigante in tutto il mondo.
L'avvento dei paracadute ad ala ha rivoluzionato questo affascinante sport: basti pensare che nelle gare di precisione in atterraggio il diametro del cerchio di bersaglio, che nel primo campionato mondiale di Bled era di cinquanta metri si è ridotto a soli tre centimetri e che molti paracadutisti riescono facilmente a centrarlo.
L'ala, basata sulla struttura multicellulare ideata dall'ingegnere canadese Domino Jalbert, funziona, anziché per resistenza della calotta all'aria come avviene nel paracadute tondo, per portanza da essa stessa generata.
L'ala compie quindi un vero e proprio volo planato, simile a quello dell'aliante, e può essere manovrata mediante appositi comandi che permettono di ampliare o ridurre la velocità di discesa e, ciò che più conta, di compiere virate e frenate prima dell'atterraggio, che è di rigore affrontarlo controvento.
Per scopi militari, nei lanci sia con tecnica Halo (uscita dall'aereo ad alta quota con apertura dell'ala a quota bassa in modo da sfuggire all'attenzione dei nemico) sia con tecnica Haho (apertura ad alta quota e successivo volo planato che può raggiungere persino i 35 chilometri)
vengono usati particolari tipi di equipaggiamento "tutto dietro", vale a dire con il sacco custodia dell'emergenza fissato alle spalle del paracadutista insieme con quello della vela principale.